Le risorse umane che vorrei
Le risorse umane che vorrei e la necessità impellente di un coscienzioso equilibrio tra digital innovation ed approccio ‘’artigianale’’, in un’ attività che dovrebbe sempre mettere al centro la persona e valorizzare i rapporti umani.
Gli autori dei miei libri preferiti in materia HR, mi riferisco a quei testi che mi fanno spesso compagnia, che non hanno il tempo di raccogliere un sol granello di polvere e dei quali ricordo anche il profumo, mi hanno trasmesso il pensiero, che occuparsi di risorse umane in ogni sua fase, significhi varcare in punta di piedi la vita di sconosciuti, toccare i loro sentimenti risvegliando emozioni sopite; vuol dire ascoltare storie differenti ed apprendere di straordinarie pagine di successo o diventar spettatori della narrazione di cadute improvvise e rovinose.
Questo lavoro porta con se il fascino di renderci partecipi di grandi gioie o pungenti dolori.
Ho tanto da imparare, ma ho fatto subito mia la linea di pensiero, di chi mi ha insegnato, che questo è un mestiere che brama capacità di osservazione, sensibilità nel percepire, leggere tra le righe il non detto, operare con rispetto e tatto ma contemporaneamente conservando fredda lucidità di fronte a vicende umane talvolta difficili, tanto da poter minare il nostro equilibrio e l’ obiettività di giudizio.
Oggigiorno, si nota talvolta in alcuni recruiter e Ceo un deleterio atteggiamento di superiorità rispetto al candidato in cerca di collocazione, che richiama alla mente colui che sta per elargirti un favore; un comportamento che mal si ripercuote sull’ andamento dell’iter selettivo prima e sulla intera vita lavorativa poi…
L’ attività di selezione invece, altro non dovrebbe essere che un semplice incontro d’intenti, uno scambio bidirezionale e non gerarchico di informazioni ed emozioni, con lo scopo di verificare se il lavoratore, in quel momento della sua vita, è in possesso del giusto livello di maturità professionale e psicologica per ricoprire quella posizione e se l’azienda è in grado di soddisfare le sue esigenze di inserimento, guadagno, benessere ed accompagnarlo in un reciproco percorso di crescita professionale.
Occuparsi di risorse umane, per chi non si approccia al solo campo della selezione, vuol dire anche saper gestire il capitale umano, per avere un team sereno e produttivo nel tempo; individui selezionati e collocati al posto giusto e nel momento giusto, evitando fraintendimenti, dissapori e turnover continuo.
Un obiettivo questo, che può essere raggiunto solo conoscendo, ascoltando e seguendo i dipendenti, misurando e correggendo costantemente la performance ma anche gli stati d’animo e le aspettative di ognuno di essi.
Un approccio che parrebbe essere utopico per molti, ma che invece rappresenta la realtà tangibile di molte aziende d’eccellenza e potrebbe diventare la normalità, con un generale cambio di mentalità.
Tale visione si è trovata però a dover convivere, già da qualche anno, con un processo d’ innovazione e digitalizzazione del settore HR.
E’ divenuta normalità la diffusione e l’utilizzo di software gestionali, videocolloqui, social recruiting.
Trascurando alcuni inevitabili aspetti negativi, molti di questi strumenti hanno rappresentato un passo avanti nella selezione e nella gestione dei lavoratori, semplificando l’incontro tra domanda ed offerta; hanno permesso un risparmio di tempo e denaro, sia per i lavoratori che per le aziende, ampliando anche l’accesso alle informazioni e favorendo la rete sociale.
Rientro nella generazione dei millenial, avvezzo all’ uso della tecnologia ed abituato al cambiamento; sposo appieno l’utilizzo del digitale, purché si riveli però, sempre un mero strumento al nostro comando e sia solo un aiuto per offrire un servizio migliore, risparmiando tempo da dedicare ad altri aspetti del lavoro.
Condivido invece la preoccupazione di alcuni esperti del settore, rispetto all’ utilizzo smodato di alcuni software e all’ ipotesi che l’intero processo di selezione e gestione, potrebbe essere affidato esclusivamente a dati, numeri ed algoritmi. Come sempre, gli antichi ci tendono una mano: “In medio stat virtus”.
C’è un aspetto “artigianale” di questo mestiere, fatto di sensibilità, di visione oltre le carte, di contatto umano, di superamento di sterili dati, che dovrebbe restare immutato sempre e far da ago della bilancia tra evoluzione ed approccio classico.
Un paio di scarpe cucite a mano, realizzate su misura per noi, dopo un attento studio delle nostre esigenze e dei difetti e pregi del corpo, calzeranno sempre meglio di un prodotto fatto in serie, soprattutto se quella della scarpa è una figura retorica e ci riferiamo a lavoro ed uomini, con i loro percorsi professionali e le storie di vita, fatte di eccezioni e tante sfumature, che solo un occhio umano supportato da esperienza, coscienza ed etica potrà cogliere.
Bibliografia:
G.Gandolfi Il processo di selezione.
C.G Cortese, A. Del Carlo. La selezione del personale
A.Castiello D’Antonio Interviste e colloqui nelle organizzazioni.
A.Castiello D’Antonio Il collloquio di valutazione delle prestazioni.
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