Home working e Smart working: prospettive future
Oggi
intendo approfondire con voi, all’interno del viaggio virtuale intrapreso da
qualche settimana, un tema che investe e modifica il concetto con il quale siamo
stati abituati a identificare il “luogo di lavoro” destinato a riconoscersi sempre meno con un luogo fisico
e sempre più diffusamente con valori immateriali quali: la fiducia, il senso di
“comunità”, la crescita collettiva.
Questa trasformazione è diventata
ancor più chiara dopo che la recente emergenza sanitaria ha indotto molte
aziende ad adottare forme di dematerializzazione del luogo di lavoro e di flessibilizzazione
dei tempi di lavoro; scelte che hanno creato le premesse per un cambiamento radicale
delle norme culturali e dei comportamenti individuali che hanno caratterizzato
per decenni la cultura d’azienda.
Il periodo acuto dell’epidemia ha
“imposto” a moltissime imprese, pubbliche e private, di sperimentare forme di
lavoro agile, entrate nel linguaggio comune: smart working, home
working o remote working.
In Italia, con il varo della legge
81/87, il legislatore ha istituito il lavoro agile, inteso come una diversa
modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante
accordo tra le parti, che può essere anche organizzata per fasi, cicli e
obiettivi, senza precisi vincoli di orario o luogo di lavoro con il solo limite
dell’orario di lavoro massimo stabilito dalla legge e dalla contrattazione collettiva.
Prendendo spunto
dai contenuti della previsione legislativa, ho “indagato” sul come ci si sta
muovendo, su quali siano gli andamenti di utilizzazione della nuova modalità di
lavoro; ho approfondito le prime concrete esperienze per ipotizzare le ricadute
che questa straordinaria innovazione avrà sul mondo del lavoro.
Da una prima verifica
è emerso che l’esperienza fatta nel periodo di lockdown si è rivelata diversa
da quella ipotizzata dal legislatore. Non tutte le aziende, infatti, si son
fatte trovare pronte, non tutte avevano gli strumenti necessari e soprattutto,
il vincolo dello spazio è stato imposto da una causa di forza maggiore. L’utilizzo
su larga scala del remote working è stato necessitato dalla business
continuity, piuttosto che da un’evoluzione strategica ragionata e concordata
delle nuove modalità di lavoro.
Per le mie
considerazioni ho utilizzato i dati del Centro Studi InContra relative a “Indagine
smart working 2020: capire il presente per progettare il futuro” con
riferimento al periodo dal 15 maggio al 10 giugno; osservazione utile anche per
trovare una rispondenza tra i vantaggi e gli svantaggi, misurata con gli occhi dei
lavoratori. Il campione preso a riferimento ha riguardato, per lo più,
lavoratori di Piccole e Medie Imprese del settore privato (79%). Hanno fornito risposte
in maggioranza donne con un’età media compresa tra i 36 e i 45 anni. Tra queste,
l’80% sposata ed il 55% senza familiari a carico.
In
considerazione che il 36% delle aziende del campione aveva più di 250
dipendenti, è emerso che al crescere della dimensione, cresce anche la
percentuale di imprese che avevano attivato progetti di smart working
prima dell’emergenza sanitaria. Interessante è risultata, poi, la dichiarazione
resa dal 35% dei dipendenti intervistati che hanno sostenuto di non lavorare in
smart working per scelta volontaria.
L’indagine ha
evidenziato anche i seguenti principali vantaggi che derivano al lavoratore
dall’utilizzo dello smart working:
- il work-life balance, ossia la gestione migliore del tempo libero;
- l’azzeramento dei costi di spostamento casa-lavoro;
- l’aumento della produttività;
- la maggiore responsabilità nel raggiungimento degli obiettivi.
Per quanto
riguarda gli svantaggi, sono stati riscontrati:
- difficoltà a coordinarsi con il team e con i capi;
- allungamento dei tempi di risposta;
- difficoltà a gestire con equilibrio la separazione tra vita privata e lavorativa, da parte dei responsabili.
L’indagine ha
consentito di far emergere un’altra problematica molto avvertita dai
lavoratori, legata al riconoscimento del lavoro straordinario. E’ emerso,
infatti, che i lavoratori rimangono pressoché costantemente connessi pur in
assenza di un adeguato riconoscimento economico. Da qui, la necessità di dare compiuta
attuazione al diritto alla disconnessione, già previsto nella legge 81/2017.
E’, inoltre,
emerso che l’80% dei lavoratori risulta favorevole a valutazioni legate al raggiungimento
di obiettivi. Essi, infatti, sembrano persuasi che tale pratica potrebbe far
crescere la motivazione, migliorare la performance, concedere maggiore flessibilità
e favorire lo sviluppo meritocratico. Tuttavia, la percentuale si è abbassata
al 60% di preferenze allorché è stato domandato ai lavoratori se preferissero
legare la retribuzione al raggiungimento degli obiettivi; una riduzione che ha evidenziato
un certo grado di sfiducia nei riguardi dell’organizzazione aziendale alla
quale verrebbe riconosciuta la possibilità di definire discrezionalmente il valore economico delle retribuzioni.
Su cosa conviene
intervenire allora?
Sicuramente sul
sistema dell’organizzazione aziendale, rafforzando il rapporto tra impresa e
lavoratore, investendo in formazione e competenze digitali, regolamentando il
diritto alla disconnessione. Le aziende potrebbero costruire uno smartworking su misura, magari misto, alternando giorni di lavoro in presenza
a giorni di lavoro in remoto. Ciò, peraltro, equivarrebbe a preservare l’umanesimo
dell’ufficio che dovrebbe continuare a mettere al centro dei nuovi modi di
lavorare l’essere umano.
Il lavoro agile
in tempi di pandemia è stato accettato e configurato come una risposta necessaria
all’emergenza piuttosto che come un naturale preludio al salto culturale; un salto,
invero, che abbisogna prioritariamente di un percorso di conciliazione tra
interessi contrapposti e di una sintesi tra quelli non omogenei dei lavoratori.
Risulta evidente
che al momento sarebbero le aziende a trarre i maggiori vantaggi, in termini di
aumento della produttività a seguito dell’adozione di forme di lavoro a
distanza, in virtù della diminuzione dell’assenteismo, delle ore di malattia e
degli straordinari. Da queste semplici considerazioni si ricava la delicatezza
di una tematica che va, invece, sviluppata con sapienza e intelligenza.
Fondamentale
risulterà anche l’irrobustimento della Funzione HR all’interno delle aziende
che saranno inevitabilmente chiamate a dotarsi di personale idoneo ad affermare il senso di
“comunità” attraverso il consolidamento della crescita collettiva costante.
Come in
più occasioni ha dimostrato il nostro sistema economico e sociale, le
situazioni difficili rappresentano anche l'opportunità per diventare più forti,
per trasformare le emozioni in leve positive. Il
30% delle aziende potrebbe continuare strutturalmente a optare per lo smart
working con benefici per entrambe le parti, si tratta di un risultato che
rappresenta una base di partenza da non trascurare su cui è doveroso continuare
ad impegnarsi.
Voi cosa ne
pensate?
Commenti
Posta un commento
La tua opinione conta