Employee Advocacy: una sfida per il brand e le Risorse Umane
Iniziamo da alcune
considerazioni: il mondo è abitato da 7,7 miliardi di persone; tra queste, secondo
la Global Digital Report 2020, 5,2 miliardi possiedono un cellulare, 4,5
miliardi usano quotidianamente internet e 3,8 miliardi sono attivi sui social. In
Italia gli utenti sono 35 milioni che passano in media 2 ore al giorno sui
social. Ogni connessione incentiva e fa crescere una rete di collegamenti che alimenta
la catena di rapporti umani.
I predetti dati mostrano in
crescita costante il trend delle connessioni; andamento interessate anche per
l’ampliamento del business.
In che modo, dunque, le
organizzazioni e le Risorse Umane in particolare, possono utilmente impiegare
l’enorme quantità di connessioni? Da qualche anno nelle aziende si sta facendo
strada l’Employee Advocacy, che consiste
nella pubblicazione, sui social media personali delle risorse interne, di
contenuti riguardanti l’azienda per attirare l’interesse di nuovi clienti e per generare maggiore
fiducia da parte del consumatore.
L’Employee Advocacy, in
concreto, rappresenta un formidabile strumento di promozione dell’immagine dell’azienda:
uno studio della Reputation Institute evidenzia che la scelta dei consumatori è
influenzata per il 66% da ciò che questi sanno dell’azienda; dato ulteriormente
avvalorato da un’altra ricerca, condotta nel 2016 da Edelman – Trust Barometer,
che ha evidenziato, in termini di credibilità, come i dipendenti risultino più
affidabili dei loro CEO e che i post social dei dipendenti generano un
engagement 8 volte maggiore rispetto ai loro datori di lavoro (CISCO).
Tuttavia, affinché le aziende
riescano ad accostarsi in modo fruttuoso ad una strategia di Employee Advocacy,
è indispensabile che accentuino l’attenzione al dipendente attraverso una
attenta ed efficace comunicazione interna e il riconoscimento di benefits e di
work life balance secondo la logica del do ut des, ossia del principio
di redistribuzione anche in favore dei dipendenti dei vantaggi economici e
sociali che derivano all’azienda dalla loro attività di rafforzamento del
marchio agli occhi dei customers.
E’ possibile verificare se
l’azienda sia pronta a un programma di Employee Advocacy
mediante una survey, un sondaggio che faccia emergere le opinioni dei
dipendenti, quello che pensano e ciò che già riportano all’esterno attraverso
la rete di relazioni. Le opinioni raccolte possono aiutare ad individuare la
condizione di benessere organizzativo propedeutico all’avvio di un programma
consapevole di Employee Advocacy. Per contro, ignorare l’opinione dei
dipendenti è controproducente e può determinare un danno di immagine
incalcolabile per l’azienda: generalmente, le persone prive di motivazioni non
sono disposte a fare di più di quello che il loro ruolo prevede.
Dunque, il rafforzamento della cultura
aziendale è un ingrediente imprescindibile per il successo di aziende e
organizzazioni; una trasformazione incentrata sul rispetto delle persone,
sulla lealtà e sulla condivisione degli obiettivi delle organizzazioni.
La chiave rimane l’ascolto attivo e lo sviluppo delle risorse.
Ma chi sono i brand ambassadors,
i “professionisti” interni capaci di promuovere il brand e stimolarne le vendite?
Come si possono scegliere?
Si tratta di volontari, di
persone liberamente disposte a pubblicare contenuti relativi all’azienda sui
propri social; un compito che si fonda sulla fiducia e sulla verità. Un buon
sostenitore, infatti, deve avere a cuore il successo dell’azienda. Le caratteristiche
più adatte per questo tipo di impegno sono possedute da persone già attive sui
social media, che abbiano già una rete abbastanza ampia di collegamenti e che,
anche all’interno dell’azienda, siano dei leader di pensiero. Persone
naturalmente motivate ed entusiaste alle quali chiedere perfino quali incentivi
valuterebbero per entrare a fare parte del programma.
Una volta individuate le persone
da inserire nel programma si procede alla loro formazione per pervenire alla
definizione di una linea unica di condivisione, fondamentale per predisporre
policy ad hoc che, in ogni caso, prevederanno un linguaggio semplice ed
efficace, definiranno le modalità concrete di pubblicazione dei contenuti (in
genere 80% personali - 20% aziendali) e stabiliranno la frequenza delle
pubblicazioni (spesso anche durante l’orario di lavoro).
Infine, verranno monitorati gli
esiti, valutati i successi o gli insuccessi attraverso i KPI da condividere con
tutto il team.
Come fare per mantenere vivo
l’entusiasmo?
La proattività è la parola chiave
per ridurre al minino il drop-off. Gli HR hanno il ruolo di favorire la
motivazione e l’engagement stabilendo una forte cultura aziendale da
trasmettere ai lavoratori. La comunicazione sui vantaggi di aderire al
programma dovrà essere chiara e trasmessa in maniera trasparente. Quello che si
può offrire cambia da azienda ad azienda ma in generale si tratta di premi, di
competitions motivazionali, leaderboard o prodotti promozionali di interesse
per i partecipanti.
E voi cosa ne pensate
dell’empoyee advocacy? Usereste i vostri profili social per promuovere la
vostra azienda?
Commenti
Posta un commento
La tua opinione conta